Si riassume efficacemente il testo di Daniela Maccario che analizza alcuni ambiti di criticità in cui l'educatore può svolgere il suo ruolo. Si mettono a fuoco peculiarità, caratteristiche e nodi dell'intervento a scuola, dell'educativa di strada, del lavoro nei CAG, coi i minori stranieri non accompagnati, con i minori maltrattati e con gli adulti disabili psichici.
L'educazione difficile
di Anna Bosetti
Si riassume efficacemente il testo di Daniela Maccario che analizza alcuni
ambiti di criticità in cui l'educatore può svolgere il suo ruolo. Si mettono a fuoco
peculiarità, caratteristiche e nodi dell'intervento a scuola, dell'educativa di
strada, del lavoro nei CAG, coi i minori stranieri non accompagnati, con i minori
maltrattati e con gli adulti disabili psichici.
Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
Facoltà: Scienze dell'Educazione
Corso: Scienze dell'Educazione
Esame: Didattica
Titolo del libro: L'educazione difficile - La didattica nei contesti
socioculturali e assistenziali
Autore del libro: Daniela Maccario
Editore: Carocci
Anno pubblicazione: 20091. Processi mediatori alla base dell'azione educativa
Si tratta di considerare l’azione didattico-educativa come quell’insieme di scelte e di azioni che un educatore
o un’équipe di educatori mettono in atto per organizzare e proporre esperienze che si ritengano atte a
promuovere lo sviluppo, l’attivazione e il recupero delle risorse personali del soggetto educando in direzione
della progressiva conquista dell’autonomia personale. L’azione didattico-educativa è considerata mediale in
quanto si colloca tra un soggetto o un gruppo di soggetti in apprendimento/formazione e uno o più “oggetti
educativi”, che in qualche modo rappresentano aspetti della realtà ed esperienze di vita che occorre imparare
ad affrontare. L’azione didattico-educativa si esplica essenzialmente nella realizzazione di mediatori, vale a
dire nella costruzione e gestione di condizioni che si ritengono adatte a promuovere cambiamenti considerati
educativamente auspicabili da parte del soggetto in formazione.
Nel concetto di mediazione didattica il richiamo fondamentale va alla natura protetta e comunque in certa
misura finzionale/analogica delle esperienze che l’educatore propone a scopo formativo.
La qualificazione dell’azione didattica come mediale è riferita non soltanto nel carattere “costruito” delle
attività o esperienze che si propongono a scopo educativo, frutto di un qualche tipo di scelta e di
manipolazione intenzionale da parte dell’educatore, ma anche e soprattutto nell’apertura di spazi
rielaborativi che permettano al soggetto di compiere in sicurezza esperienze ritenute potenzialmente utili per
la sua crescita personale. Il compito fondamentale che spetta all’educatore è quello di mettere in atto azioni
volte a favorire e a sostenere il processo di continuo rimando tra l’esperienza e la sua elaborazione che è alla
base dell’educazione; in tal senso, si può dire che l’azione didattico-educativa abbia carattere mediale in
quanto facilita e sostiene il soggetto in formazione nel «fare esperienza dell’esperienza».
La prospettiva dei processi mediatori mette in evidenza ulteriori elementi che rendono complesso il quadro
di riferimento.
Il ruolo cruciale che va riconosciuto al soggetto o ai soggetti educandi nelle possibilità/modalità di
rielaborazione degli stimoli formativi è legato a un insieme dinamico e intrecciato di aspetti che vanno a
costituire la struttura personale di ciascuno. Le esperienze che si propongono con finalità educative si
fondano inevitabilmente su una conoscenza parziale del soggetto, su una messa a fuoco dei suoi bisogni
sempre provvisoria e su una previsione di risposta che è sempre ipotetica e ammette gradi anche ampi di
possibile scostamento. L’educazione non può concentrarsi su ciò che produce determinati risultati,
escludendo tutto quello che non la riguarda. Perché non c’è niente che a priori non la riguardi ... [essa] dovrà
necessariamente fare i conti con il senso di cui ogni soggetto coinvolto è portatore.
In situazione si assiste a un intrecciarsi spesso imprevisto di operazioni e attività a modulazioni che
l’educatore elabora sul momento. È questa una massa critica che necessita di essere adeguatamente
problematizzata quando si studia l’azione didattico-educativa.
Un elemento strettamente connesso al precedente è costituito dai significati che sottendono le scelte
compiute dagli educatori in situazione. A un’azione possono corrispondere intenzionalità e significati
differenti.
Altri aspetti che sembrano costitutivi dell’azione didattica sono le cosiddette “condizioni di esercizio”, vale
a dire i vincoli contestuali di tipo organizzativo, normativo, socioprofessionale, fisico, materiale e culturale
entro i quali essa prende forma. Si tratta di concentrarsi sull’influenza dinamica che questo insieme di
elementi esercita nel determinare le scelte e le azioni educative.
Anna Bosetti Sezione Appunti
L'educazione difficile 2. Processi pro-attivi, attivi e post-attivi alla base dell'azione
educativa
L’azione didattica può essere qualificata anche per la presenza di operazioni di carattere pro-attivo, attivo e
post-attivo, strettamente intrecciate fra di loro e, tuttavia, distinguibili in relazione alle specifiche funzioni
che tendono ad assumere.
Le dinamiche connesse ai processi mediatori possono comprendere ciò che si fa, in senso fisico-materiale
ma anche mentale e simbolico, per rendere possibile e per preparare l’azione didattico-educativa
(dimensione pro-attiva).
Le operazioni di carattere attivo nel loro dispiegarsi risentono dell’intenzionalità che ne è alla base, ma
difficilmente corrispondono pienamente a essa, a causa di una molteplicità complessa di elementi che
intervengono e che finiscono con il trasformare qualsiasi previsione o piano.
Le operazioni di carattere post-attivo sono identificabili con tutte quelle azioni che consentono all’educatore
di mettere in prospettiva il processo attivato, le scelte operate per ricavarne elementi utili al “rilancio”
continuo dell’azione o per l’avvio di un ciclo successivo di interventi.
Anna Bosetti Sezione Appunti
L'educazione difficile 3. Azione didattico-educativa
Nella distinzione tra azione didattica e azione educativa, sembra di poter dire che la prima implichi un focus
sui contesti scolastici e sulla proposta di contenuti la cui valenza culturale rinvii generalmente ai saperi
disciplinari. L’azione educativa tende, invece, a essere riferita alla sfera più ampia della formazione
personale, considerata secondo un insieme di dimensioni di crescita che vanno oltre quelle strettamente
cognitive o, comunque, connesse all’acquisizione del sapere.
In riferimento all’agire dell’educatore nei contesti extrascolastici, si tende a parlare diffusamente di azione
“educativa” più che di azione didattica, enfatizzando così l’ampiezza/profondità/complessità dei traguardi
trasformativi personali che si vogliono promuovere ponendo l’accento, in particolare sulla qualità della
relazione e della comunicazione che deve caratterizzare il rapporto educativo.
Tuttavia, non va sottovalutata la natura di proposta in qualche misura costruita, dunque derivante da opzioni
di natura culturale e strategica che è propria dell’azione dell’educatore, aspetto che autorizza a qualificarla
“educativo-didattica”.
Anna Bosetti Sezione Appunti
L'educazione difficile 4. L’educatore all’interno della scuola
Tra le figure professionali alle quali la scuola ricorre da diversi di anni, quella dell’educatore assume un
peso rilevante in relazione a forme di intervento diversificate.
All’educatore può essere richiesto di operare in classe nella conduzione di particolari esperienze
laboratoriali rivolte al gruppo (ad es. nell’ambito di progetti di educazione all’affettività, di orientamento
alla scelta, di sviluppo dell’intelligenza emotiva ecc.): in questo caso interviene come esperto che, per un
numero limitato di ore e per un breve periodo dell’anno, conduce direttamente attività con gli alunni. In altre
situazioni, l’educatore può affiancare gli insegnanti per più ore la settimana, per tutta la durata dell’anno
scolastico o per l’intero ciclo, per seguire individualmente bambini che manifestano difficoltà e disturbi di
apprendimento o che mostrano problemi di comportamento e di carattere relazionale.
Le azioni di supporto individualizzato possono essere richieste per intervenire nei confronti di bambini e
ragazzi per i quali è stata emessa una diagnosi funzionale che ne certifica una qualche forma di disabilità,
quando la risorsa dell’insegnante di sostegno risulta insufficiente.
Spesso l’educatore lavora anche per supportare alunni per i quali non sussistono le condizioni per una
certificazione di disabilità, ma che presentano quadri di apprendimento e comportamentali di difficile
gestione da parte degli insegnanti.
In ultimo, l’educatore viene chiamato a operare all’interno di classi in cui si trovano inseriti uno o più
studenti che possono presentare problemi di vario genere, già segnalati o in carico al servizio sociale.
Si tratta di minori provenienti da situazioni difficili, spesso vittime di forme di maltrattamento più o meno
grave. Sono alunni che in classe tendono a mettere in atto comportamenti disturbanti che sono segnali di
disagio e celano richieste di aiuto; si tratta di ragazzi che possono presentare difficoltà nel rapportarsi agli
altri e a situazioni nuove.
Anna Bosetti Sezione Appunti
L'educazione difficile 5. L'educatore come promotore di contesti inclusivi
L’educatore che opera in affiancamento individualizzato all’interno della classe deve sapersi porre nella
zona di incontro tra il minore in situazione di disagio e il resto del sistema-classe, costituito dall’insieme
intrecciato di relazioni tra i compagni, tra alunni e insegnanti, tra docenti.
Provare a sviluppare l’azione educativa tenendo conto della complessità del contesto nel quale il bambino
manifesta il proprio disagio consente all’educatore di coglierne meglio la natura e di intervenire, oltre che
direttamente, anche tentando di correggere le dinamiche che lo alimentano.
L’educatore impegnato in interventi di supporto in classe, per rispondere alle difficoltà di un bambino, non
focalizza esclusivamente l’attenzione su di lui ma allarga lo sguardo, per operare nella direzione del
cambiamento del sistema-classe e delle relazioni che lo caratterizzano; partendo dalla lettura dei significati
che i vari soggetti attribuiscono alle manifestazioni di disagio del singolo, può promuovere un processo che
miri ad aumentare le capacità del contesto di includere il minore.
Si tratta di un approccio non esente da rischi per l’educatore, primo quello di finire con il perdere di vista il
bambino rispetto al quale è stato chiamato a intervenire, pericolo che va tenuto costantemente sotto
controllo.
Anna Bosetti Sezione Appunti
L'educazione difficile 6. L'educatore e la collaborazione con gli insegnanti
Per essere legittimato a svolgere la funzione di mediazione, capace di incidere sulla posizione relazionale
del bambino entro il sistema di interazioni in cui è inserito (aiutando gli insegnanti, se necessario, a variare
le proprie strategie educative al fine di coinvolgere l’intera classe in dinamiche maggiormente positive per
tutti gli alunni), l’educatore deve avere la possibilità di collocarsi in un macro-contesto esso stesso costruito
su basi esplicitamente collaborative tra i soggetti istituzionali in campo.
Gli insegnanti possono tendere ad assumere un atteggiamento di parziale delega all’educatore del
trattamento del problema; se questa interpretazione fosse accettata dall’educatore, questi si vedrebbe
costretto a rinunciare alla possibilità di operare anche nella direzione di un cambiamento del sistema-classe,
al fine di restituire ai docenti l’opportunità di intervenire direttamente rispetto alle difficoltà dell’alunno, e
vedrebbe ridursi le strade per operare nella direzione di una reale inclusione scolastica del minore in stato di
disagio. Questa asimmetria tenderebbe a trasformare l’educatore in una risorsa degli insegnanti e della
scuola, quindi a renderlo, di fatto, una sorta di operatore scolastico, in contrasto con la propria appartenenza
istituzionale ai servizi socioeducativi territoriali e in parziale contraddizione con l’incarico ricevuto dagli
insegnanti stessi.
Si tratta di partire da quella richiesta di collaborazione per costruire regole condivise di cooperazione e per
stabilire alleanze educative. L’educatore, allora, accetta anche di stare fuori dalla classe, di relazionarsi
individualmente con il minore, di impegnarsi in prima persona nel trattare il problema del bambino, ma lo fa
portando uno sguardo altro, svelando i giochi relazionali del sistema-classe, suggerendo, condividendo con
gli insegnanti strategie di intervento rivolte al minore e al gruppo, aiutando a intravedere nuove possibili
strade comunicative e cooperative all’interno dell’équipe docente.
Questo approccio non è esente dal provocare resistenze, che occorre conoscere e prevedere nel loro possibile
manifestarsi.
Da parte dei bambini può verificarsi un certo disorientamento nel trovarsi di fronte un nuovo insegnante.
Negli insegnanti, le principali resistenze possono essere legate al dover modificare prefigurazioni e
aspettative rispetto al possibile ruolo dell’educatore in classe, al non sentirsi immediatamente alleggeriti
nella gestione del minore con problemi e all’essere chiamati a rimettere mano, con l’educatore, alle proprie
strategie di intervento; può farsi strada anche la percezione che il proprio lavoro sia costantemente esposto
alle valutazioni dell’educatore e, per suo tramite, a quelle dei servizi.
Anna Bosetti Sezione Appunti
L'educazione difficile 7. Stare in classe: il ruolo dell'educatore
Qualunque educatore si appresti ad avviare il proprio intervento deve prepararsi a rispondere a interrogativi
che sono esplicitati dai bambini ma che, implicitamente, possono porsi anche gli insegnanti; reagire sin
dall’inizio a queste richieste serve a costruire un legame di senso tra educatore, bambini e insegnanti.
L’educatore interagisce con tutti gli alunni, ma in particolare con il minore o i minori che mostrano disagio,
per portarli ad affrontare domande circa il loro impegno, le loro difficoltà nell’apprendimento, il loro
rapporto con gli altri all’interno della classe; si sofferma, quando emergono, sui conflitti tra i compagni, in
particolare sulle singole individualità portatrici di disagio; contiene il bambino che in classe si agita, lo
riprende e lo conduce all’esecuzione di un esercizio che si attarda a svolgere, affrontando con lui le
motivazioni del rifiuto e, talvolta, della reazione aggressiva alla sollecitazione a riprendere il lavoro;
interviene affinché il minore riconosca le regole generali del contesto scolastico e quelle specifiche di alcuni
momenti. Un compito particolare generalmente assunto dall’educatore è quello di trattare con i compagni
del minore le emozioni e i significati che suscitano in ciascuno le interazioni con il compagno più
problematico.
È da annotare anche un insieme di possibili azioni dirette agli insegnanti: può trattarsi di offrire
suggerimenti per la gestione del bambino che sta creando difficoltà, di provare a rivedere insieme alcune
regole di conduzione della classe, di dialogare con tutti i docenti affinché eventuali incomprensioni o
divergenze tra colleghi siano superate; in alcuni casi, può indicare altre risorse utili alla famiglia e alla
scuola.
Anna Bosetti Sezione Appunti
L'educazione difficile